superfici
La bottiglia di Klein
Se si parte da un rettangolo e si immagina di identificarne i lati opposti in modo che questi si attacchino “per dritto” (ovvero: vengano identificati i punti alla stessa altezza sui due lati verticali e analogamente per quelli orizzontali), si ottiene una superficie a forma di ciambella, che in matematica generalmente si chiama toro.
Se però si identificano due lati opposti “per dritto”, come prima, e gli altri due nell’altro verso, si ottiene qualcosa di più strano. Al primo passo si ottiene un cilindro, come nel caso della ciambella; poi, però, non si possono più semplicemente accostare le due circonferenze per incollarle, perché sulle due circonferenze è opposto il verso secondo cui vanno identificati i punti; Per riuscire a incollarle occorre allora “passare da dentro”, permettendo che la superficie si autointersechi: ed ecco che si ottiene la bottiglia di Klein.
Questa curva di autointersezione, lungo la quale la superficie attraversa se stessa, non è un caso dovuto a come l’abbiamo ottenuta: si può dimostrare che non è possibile immergere la bottiglia di Klein nell’usuale spazio tridimensionale senza autointersezioni. Se vogliamo farci un’immagine mentale della bottiglia di Klein, però, dovremmo riuscire con gli occhi della mente a “non vedere” questa autointersezione, e a pensarla come un “accidente” dovuto non a come è fatta la superficie, ma solo alla sua immersione nello spazio tridimensionale. Possiamo fare un parallelo con la figura che rappresenta la proiezione di un nodo trifoglio sul piano. In una tale proiezione ci sono necessariamente dei punti in cui la curva si attraversa: ma, se sappiamo che la curva rappresenta la proiezione del nodo, sappiamo che un punto di incrocio sulla proiezione corrisponde in realtà a due punti sul nodo, appartenenti a due rami diversi le cui proiezioni sul piano si intersecano. La stessa cosa dobbiamo pensare per la bottiglia di Klein: la curva di autointersezione corrisponde sulla superficie a due curve, una su ciascuna falda, che nella “proiezione” della bottiglia nello spazio tridimensionale sono costrette a coincidere.
Anche la bottiglia di Klein, come il nastro di Moebius, è una superficie non orientabile: se fosse dotata di un’etichetta, e se questa etichetta potesse andare in giro per la bottiglia, dopo un giro completo attraverso il “manico” l’etichetta tornerebbe al punto di partenza capovolta.
Bottiglia di Klein e nastro di Moebius sono “parenti”: precisamente, è possibile tagliare una bottiglia di Klein in modo da ottenere due nastri di Moebius (ovvero incollare due nastri di Moebius in modo da ottenere una bottiglia di Klein). La differenza cruciale fra il nastro di Moebius e la bottiglia di Klein, che fa sì che il primo si possa ottenere nello spazio tridimensionale e la seconda no (senza autointersezioni), è il fatto che il nastro di Moebius ha un bordo e la bottiglia di Klein non ce l’ha: c’è tutta una famiglia di superfici, non orientabili e senza bordo come la bottiglia di Klein, che tutte non si possono immergere nello spazio tridimensionale senza autointersezioni (mentre si può farlo non appena si fa un foro nella superficie in modo che compaia una curva di bordo).
Il primo esempio di questa famiglia è il piano proiettivo che si può immaginare ottenuto “cucendo” un disco a un nastro di Moebius lungo il bordo (che è, per entrambi, una circonferenza). È difficile immaginare di cucire un disco alla circonferenza di bordo di un nastro di Moebius quando il nastro è in questa posizione: possiamo allora per aiutare l’immaginazione cercare di deformare il nastro di Moebius finché il bordo appare come una circonferenza normale, a cui poi immaginiamo di attaccare un disco. Osserviamo che in questa modifica, però, il nastro di Moebius finisce per attarversare se stesso e quindi – anche qui – spuntano delle autointersezioni. In realtà non è detto che questo accada: infatti questa bellissima conchiglia è il risultato di una modifica del nastro di Moebius che porta il bordo in una circonferenza “normale”, e non ha autointersezioni: si osservi però che, se si andasse a incollare un disco alla circonferenza di bordo, non sarebbe possibile farlo senza intersecare la conchiglia. Anche in questo caso, quindi, non riusciamo a immergere il piano proiettivo nello spazio tridimensionale senza autointersezioni.