uno strumento di meraviglie
Uno "strumento di meraviglie"
Lo scrittore francese André Gide (Parigi 1869-1951) ci svela la sua passione per il gioco del caleidoscopio nella raccolta “Se il grano non muore”, Bompiani, Milano, pp. 9-11.
“Un altro gioco che mi piaceva enormemente è quello strumento di meraviglie chiamato caleidoscopio: una specie di binocolo che, all’estremità opposta a quella dell’occhio, offre allo sguardo un rosone sempre mutevole, formato da mobili vetri colorati, imprigionati tra due superfici translucide. L’interno del binocolo è tappezzato di specchi, nei quali si moltiplica simmetricamente la fantasmagoria dei vetri che il minimo movimento dell’apparecchio sposta tra le due superfici. Il mutamento d’aspetto dei rosoni mi gettava in un incanto indicibile.
Rivedo ancora con esattezza il colore, la forma dei vetrini: il pezzo più grande era un rubino chiaro, fatto a triangolo; il peso lo trascinava subito sopra la massa, che ne era scompigliata. Ve ne era uno color granata molto cupo e tondeggiante; uno smeraldo a forma di falce; un topazio di cui non rivedo più che il colore; uno zaffiro e tre piccoli frammenti bruno-rossicci.
I vetri non erano mai di scena tutti assieme; alcuni restavano completamente nascosti, altri a metà, nelle scanalature, dall’altro lato degli specchi; solo il rubino, troppo importante, non spariva mai del tutto.
Le mie cugine, che condividevano il mio amore per questo gioco, ma si dimostravano meno pazienti, scuotevano ogni volta l’apparecchio per contemplarvi un cambiamento totale. Io non facevo così: senza abbandonare con gli occhi lo spettacolo, giravo pian piano il caleidoscopio, e ammiravo il lento modificarsi del rosone.
Talvolta, l’insensibile spostamento di uno degli
elementi provocava conseguenze sconvolgenti. Ero al tempo stesso incuriosito e incantato, e ben presto volli costringere l’apparecchio a rivelarmi il suo segreto. Aprii il fondo, contai i pezzetti di vetro e trassi dal fodero di cartone tre specchi; poi ve li rimisi; ma, con essi, non più di tre o quattro pezzetti di vetro. L’accordo era piuttosto misero; le combinazioni non potevano più sorprendermi; ma come si potevano seguire bene le parti, come si capiva bene il perché del piacere che si provava!
il desiderio di sostituire i pezzetti di vetro con gli
oggetti più strani: la punta di una penna, un’ala di mosca, una capocchia di fiammifero, un filo d’erba. L’effetto era opaco, non c’era più niente di magico, ma, a causa dei riflessi negli specchi, aveva un certo interesse geometrico...
Insomma, trascorrevo ore e giorni in questo gioco. Credo che i ragazzi di oggi lo ignorino, per questo mi sono dilungato a parlarne.
Gli altri giochi della mia infanzia, giochi di pazienza, decalcomanie, costruzioni, erano tutti giochi solitari. Non avevo alcun compagno...”
André Gide